Ne ha fatta di strada il derby della Madonnina da quel lontano 1908, prima stracittadina della storia di Milan e Inter. Il 18 ottobre 1908 è la Svizzera ad ospitare quei ragazzi giovanissimi, frutti tra i 15 e i 18 anni, che in treno raggiungevano lo stadio tutti come buoni amici che dividevano la passione per il calcio oltre che pane, salame e un buon bicchiere di vino rosso mentre giocavano anche una mano a briscola. C’erano colori di appartenenza ma mai divisioni umane tra i cugini che a turno lavavano le ‘divise’ di gioco (casacche di lana e pantaloni tenuti su da cinture di cuoio) e curavano le ferite, l’uno all’altro, provocate da quei palloni troppo pesanti o dai lacci troppo stretti per chiudere delle scarpe troppo pesanti mentre si passano la fiaschetta di whisky, rigorosamente in campo con loro, per tirarsi un po’ su. Erano altri tempi, quei ragazzi, non ancora maggiorenni, lavoravano, molti di loro erano già sposati e partivano per la guerra, ma questa è un’altra storia. Come anticipato, la madre di tutti i derby milanesi è al campo del Gas di Chiasso, è l’Inter a giocare praticamente in casa annoverando 5 svizzeri in squadra, mentre il Milan è quasi tutto italiano, il biglietto costava 20 centesimi e si decideva tutto in due tempi di venticinque minuti. Le porte erano più corte ma più alte, i gol si segnavano sui pali che erano quadrati, una tacca, due tacche, due tacche a uno, come tabelloni elettronici fatti di legno. Queste le formazioni del primo derby nella storia di Milan e Inter, allora Internazionale, finito con il punteggio di 2-1 per i rossoneri:
MILAN: Gerolamo Radice (25 anni portiere, capitano e allenatore del Milan), Emile Glaser (22 anni), Marco Sala (22 anni, milanese di Cornate d’Adda); Carletto Bianchi (20 anni, debuttante, mai usato in campionato, gioca una sola stagione e una sola partita, poi di lui non si sa più niente), Steltzer (20 anni, svizzero), Andrea Meschia (25 anni, milanese purosangue, gemello di Radice, stessa data di nascita, in cinque anni di rossonero vince lo scudetto del 1907 da terzino di posizione); Pierino Lana (20 anni. Da interno sinistro segna 18 gol in 51 partite. Fonda l’Inter, poi se ne pente e torna al Milan. Segna il primo gol della nazionale italiana con la Francia all’Arena), Johann Ferdinand Madler (29 anni, è il primo tedesco del Milan, di Stoccarda. Gioca sulle ali, specialista in doppiette, vince uno scudetto giocando a singhiozzo perché il suo lavoro lo porta sempre in giro per il mondo), Luigi Forlano (24 anni, viene da Rocchetta Tanaro, provincia di Asti, attaccante, gioca un solo campionato, una sola partita e realizza un solo gol. Morirà da eroe, il 16 luglio del 1916, sul Vallone del Carso con la Prima armata, ricacciando gli austriaci oltre le trincee); Max Laich (22 anni, svizzero, fa il centrocampista, e con l’Inter ha sempre un conto in sospeso. Debutta in campionato con un 3-2 sull’Inter, all’Arena, si spezza una gamba contro i cugini in un derby amichevole, infortunio talmente grave che dopo dieci minuti la partita viene sospesa. Non si vedrà in campo mai più), Attilio Colombo (21 anni, torinese è soprannominato «El Vitel», il vitello, per l’esuberanza fisica a centrocampo e per l’impeto con cui si lancia contro gli avversari. È un capo carismatico della squadra, gioca un po’ ovunque, porta compresa). Allenatore: Gerolamo Radice.
INTERNAZIONALE: Piero Campelli (15 anni, soprannominato Nasone è uno dei primi grandi portieri di sempre del calcio, il più giovane in assoluto della storia nerazzurra. È lui ad inventare la parata in presa mentre i suoi colleghi ancora respingono di pugno), Roberto Fonte (15 anni, milanese. Entra in squadra perché legge la notizia della fondazione nelle poche righe pubblicate dal giornale «La Lombardia». È il Bergomi d’inizio Novecento. Gioca 25 partite da difensore e vince uno scudetto), Alfredo Zoller (20 anni, svizzero di Bengdorf, diventa protagonista del primo scudetto nerazzurro in una difesa che le cronache dell’epoca definiscono mostruosa. Gioca ancora un anno, poi lascia il calcio); Yenni (20 anni, difensore svizzero, vince uno scudetto, ma nessuno sa per certo che faccia abbia o quale sia il suo nome di battesimo), Virgilio Fossati (19 anni, centrosostegno, capitano e allenatore, è il primo interista a vestire la maglia della Nazionale, dove gioca 12 partite segnando un gol. Grande e carismatico muore da eroe nel 1918, in trincea, a Grande Guerra quasi finita), Stebler (svizzero, vince il primo scudetto dell’Inter, all’ala di un attacco micidiale. Torna in patria e di lui non si sa più niente); Giovanni Capra (21 anni, torinese di Mercenasco, centrocampista di talento, è il Nicola Berti d’inizio secolo. Si specializza nel segnare ai cugini del Milan), Carlo Peyer I (milanese, 18 anni, centrocampista, anche lui fa parte della banda di ragazzini terribili che vincono il primo scudetto. Gioca solo tre anni, poi non si vede più), Ernest Peterly (16 anni, svizzero, nato il giorno di Capodanno, arriva all’Inter dall’FC Brùhl di San Gallo. Centrocampista, sempre con il berrettino in testa, gioca cinque anni con i nerazzurri, 55 presenze e 30 reti, vince uno scudetto); Bernard Schuler (20 anni, attaccante, segna otto gol in ventitré partite, quanto basta per vincere uno scudetto. Torna in Svizzera e si dedica al commercio), Ermanno Aebi (16 anni, nato a Milano da madre italiana e da padre svizzero, gioca sia con la nazionale svizzera che con quella italiana, è il primo straniero a giocare in azzurro, sia con l’Inter che con il Milan. A fine carriera diventa arbitro, il figlio Giorgio gioca attaccante nel Genoa. Muore nel 1976 all’età di 84 anni). Allenatore: Virgilio Fossati. Reti: Lana, Payer, Forlano. Arbitro del primo derby della storia tutta milanese: Bollinger (Svizzera)
Spettatori 2.000 circa per un incasso di 400 franchi svizzeri. Quello era tutto un altro derby
L’Inter, dall’alto dei suoi 111 anni storia, compiuti domenica scorsa, guarda la passato con molte emozioni arricchendosi dei tanti trofei. Oggi, in occasione di questo derby, facciamo un a carrellata nel passato consigliando, però, all’intero mondo nerazzurri di pensare, oggi più che mai, al presente che produrrà gli effetti sull’immediato futuro. Nella storia dei derby della Madonnina, sono tanti i campioni che si sono avvicendati, alcuni passando anche da una sponda all’altra del naviglio, alcuni sono invece rimasti fedeli alla maglia di appartenga divenendo nel tempo delle vere e proprie icone dei colori rossoneri o nerazzurri. L’icona per eccellenza resta ancora, non potrebbe essere diversamente, Giuseppe Meazza che ha indossato entrambe le casacche.
Il Milan lo aveva scartato perché troppo gracile. E in effetti lo era. Ma quanto talento, in quei piedi. Arpad Weisz, l’allenatore campione d’Italia con l’Inter nel 1929-30 poi morto ad Auschwitz nel 1944, lo vedeva giocare con le giovanili e, da grande conoscitore di calcio, lo vuole subito in prima squadra. Il “Balilla”, com’era soprannominato, entrò ben presto, magnetico e fortissimo, nella storia nerazzurra. Ancora oggi è il miglior marcatore di sempre della storia del club, con 284 gol. Fece bene, ma non troppo, anche in rossonero prima di tornare al vecchio amore nerazzurri dove chiuderà la sua carriera di campione, il migliore di tutti i tempi nella storia meneghina.
Possiamo non parlare del grande Sandro Mazzola, fedelissimo ancora oggi ai colori nerazzurri, che nasce e chiude la sua carriera nell’Inter? Simbolo della Grande Inter di Helenio Herrera, il figlio di Valentino che riuscì nell’impresa quasi impossibile di essere degno del padre, pilastro del Grande Torino. Sandro Mazzola è il simbolo dell’Interismo, con la I maiuscola, e l’emblema di un’epoca tinta di nerazzurro. Orgoglio interista, giocatore straordinario. Vera leggenda vivente. Nella stessa storia, intesa come arco temporale, non può certo mancare il mite e rispettoso, il gigante buono Giacinto Facchetti. L’eleganza, la lealtà, la mentalità vincente, la correttezza e la fierezza dell’Inter racchiuse in un solo, irripetibile giocatore. E’ stato anche presidente del club, nei primi anni del secolo, prima che un male ce lo portasse via. Ma il suo ricordo è ancora vivo nei cuori di tutto il popolo nerazzurro.
Il mondo interista non dimentica Spillo, all’anagrafe Alessandro Altobelli che, nessuno come lui fino ad oggi, ha provato ad eguagliare il record del grande Meazza realizzando 209 gol con la maglia nerazzura dal 1977 al 1988, dieci anni di storia che gli appartengono di diritto.
Come alla storia nerazzurra appartiene il riservato e discreto capitano Bergomi, lo Zio. Prima dell’arrivo di Zanetti, Bergomi deteneva tutti i record di presenze possibili e immaginabili. Perché anche lui è un pezzo importantissimo di Interismo. Passando da Ronaldo, miglior giocatore della storia dell’Inter, Christian Vieri, a lui va riconosciuta una potenza fisica e calciati senza eguali, per arrivare ai giorni nostri, la storia più recente, dove l’Inter incrocia il destino con il Principe dei principi, Re Milito, eroe della stagione 2009-2010, Sui suoi piedi passa il sogno, non rimasto più tale, del Triplete che lo renderà immortale non solo agli occhi dei tifosi interisti. Chiudiamo il sipario sul palcoscenico nerazzurro con lui, il Capitano dei capitani, il signor Zanetti. 20 anni fantastici con quella maglia addosso, attraversando il bello e il brutto senza mai perdersi d’animo, animando i compagni di turno fino ad arrivare a quella fatidica magica notte del 2010. Un nome nato per essere ricordato ed amato almeno quanto il suo amore incondizionato, ancora oggi, per l’Inter. Elegante, educato, pacato, ma al contempo fiero e deciso. Zanetti è ancora oggi, nonostante abbia smesso di giocare, un vero simbolo per tutto il popolo interista. E lo sarà per sempre.
la Redazione